Rincari sulla bolletta del telefono: come difendersi

Autore: Paolo Remer Fonte: laleggepertutti

Le compagnie telefoniche devono seguire precise regole per introdurre gli aumenti. I clienti possono difendersi fino al recesso senza costi.

I prezzi delle tariffe telefoniche stanno aumentando, nel fisso e nel mobile. È ormai finito l’effetto Iliad, il nuovo operatore telefonico entrato nel mercato italiano un anno fa e che, offrendo prezzi lancio, aveva contribuito a tenere basse le tariffe dei concorrenti. Quindi ora i prezzi delle offerte nuove e le tariffe dei contratti già in essere hanno ripreso a salire e questo vale per tutti gli operatori.

Crescono soprattutto i costi per gli abbonamenti mensili sui cellulari: i rincari sulla bolletta del telefono arrivano al 30% rispetto ai prezzi praticati lo scorso anno, secondo una recente indagine di SosTariffe. Oggi il costo medio mensile dei piani voce, Giga e sms di tutti gli operatori arriva quasi a 12 euro; un anno fa era di circa 9 euro.PUBBLICITÀ

Una piccola consolazione per i clienti è che ora aumenta anche il traffico di dati e di voce incluso nelle offerte: ad esempio i Giga inclusi sono più che raddoppiati rispetto allo scorso anno (38 di media rispetto a 19), mentre i minuti salgono da 1.800 a 2.400, sempre facendo una media di tutti gli operatori (tradizionali come Tim, Vodafone e Wind 3 e virtuali, come PosteMobile ed Ho).  Inoltre l’Italia, secondo un’analisi di Facile.it, rimane uno dei Paesi europei più convenienti per quanto riguarda le tariffe (le più basse sono in Polonia, 6 euro al mese in media, le più alte in Norvegia, 28 euro).

Come difendersi da questi rincari? I contratti di abbonamento non sono fissi e così i prezzi possono variare nel corso del tempo. Però le compagnie telefoniche non possono modificarle a loro piacimento: esiste una norma di legge [1] che impone la piena trasparenza sulle informazioni delle condizioni contrattuali praticate alla clientela. Perciò gli aumenti dei prezzi e delle tariffe non possono rimanere nascosti, ma, al contrario, devono essere esposti in maniera ben visibile in bolletta e, soprattutto, vanno comunicati in anticipo.

Così gli operatori che vogliono cambiare le condizioni economiche o contrattuali devono comunicare agli utenti in maniera chiara, con un preavviso non inferiore a 30 giorni, quali siano le modifiche, per quale motivo sono state adottate e da quando entreranno in vigore. Queste informazioni possono essere messe in bolletta (ma in modo evidente per evitare di essere confuse col resto) o date attraverso comunicazioni specifiche, ad esempio inviando un sms ai titolari delle utenze mobili.

Insomma il cliente deve sapere con congruo anticipo che la sua tariffa aumenterà, di quanto, perché e da quando, in modo da poter decidere se proseguire nell’abbonamento al servizio oppure interromperlo, magari passando ad un altro operatore. Infatti nella medesima comunicazione le compagnie telefoniche devono informare chiaramente il cliente che ha diritto di recedere dal contratto senza subire alcuna penale o costi di disattivazione (l’utente invece deve pagare queste voci se recede per motivi diversi dagli aumenti tariffari).

Se non fanno tutto questo e nelle forme che abbiamo visto, le modifiche ai prezzi sono nulle e possono essere contestate, pretendendo di rimanere col vecchio piano tariffario. Le nuove condizioni non si applicheranno perché non sono state comunicate nelle dovute forme.

Il problema è che il contratto di abbonamento ai servizi telefonici è del tipo “ad adesione”, vale a dire che bisogna accettare in blocco tutte le condizioni stabilite dall’operatore oppure rinunciare all’intera offerta. Prendere o lasciare, non si può negoziare. Per questo – a parte i casi che abbiamo appena visto, in cui le modifiche non vengono comunicate o la comunicazione non è chiara oppure manca l’informativa sul diritto di recedere senza costi – se si vuole sfuggire agli aumenti indesiderati l’unica via d’uscita è recedere dal contratto.

La facoltà di esercitare il recesso per il cliente insoddisfatto dagli aumenti (o anche dalla qualità del servizio praticato) è l’arma più radicale: si interrompe il servizio in maniera definitiva, cessando l’utenza telefonica con quell’operatore (oppure, se non si vuole cambiare, scegliendo un’altro piano tra quelli disponibili). La volontà di recedere dal contratto di abbonamento va comunicata al gestore entro i 30 giorni dal preavviso e non oltre la data di entrata in vigore delle modifiche; quindi non successivamente, altrimenti gli aumenti si intenderanno accettati.

Bisogna anche sapere che il recesso può essere esercitato nelle stesse forme con cui era stata attivata l’offerta iniziale: ad esempio, se il contratto era stato concluso con una chiamata telefonica, anche la disdetta potrà avvenire con una semplice telefonata e non mediante una lettera raccomandata.

Intanto il Commissario Agcom, l’Autorità Garante delle comunicazioni, ha promesso di avviare un’indagine sui recenti aumenti a raffica, per  «verificare se sono in linea con le normative vigenti».

note

[1] Art. 70 D.Lgs. 1 agosto 2003, n.259 “Codice delle comunicazioni elettroniche“.

Lascia un commento